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Scuola di Poesia 5

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Se devo dare, non importanza, ma vera LUCE a tutti gli atti, a tutti i momenti… (scrivo come se parlassi). E se dovessimo impedirci di dire: questa è pura depressione, questa è solitudine, questo è inferno (e continuando: e questo paradiso esiste, è vero, ma non è mio: «non è per te», come diceva qualcuno: identificando il paradiso con un amore per il quale sembra non siamo nati… Come se l’amore si meritasse o si comprasse: «ma non se merita l’amor», come ha scritto Elio Talon, infinitamente delicato e per questo sapienziale). La poesia, dal punto di vista della mente, è il BLOSSOM, nominato da Emily Dickinson nella poesia 945: «uno Sbocciare del Cervello», secondo la traduzione di Amelia Rosselli.

Leggiamo questa metafora: deve sbocciare qualcosa che celebri la continuità o la resistenza, e che istituisca un rapporto, anche precario (anche metaforico, ecc.), con le cose, e soprattutto con i sentimenti che sfidano di più la nostra possibilità di articolare parole: l’estrema gioia e l’estremo dolore (dovremo situare nell’estremo dolore anche il vuoto, una specie di purgatorio in vita, che alcuni di noi, o molti di noi, stanno sperimentando o hanno sperimentato). La poesia viene per stabilire la dignità e l’umanità di tutto, compreso il piccolo inferno privato, il purgatorio grigio, il «non è per te» che nel vicolo di Genova in cui fu detto suonò come un divieto laido, nel dialogo tra un ignorante e un ingenuo, e che in poesia potrebbe diventare infinitamente più ricco – purché sappiamo distanziarcene. Una piccola abilità tecnica – le parole sono cose, la carta è cosa, il ritmo è respiro – servirebbe anche alla vita, forse: perché impareremmo che le cose, dopo la prima ustione, rimangono nella nostra mente solo sotto forma di parole e immagini. Dovremo trascrivere quelle parole e immagini dal quaderno cerebrale al quaderno di carta o al foglio elettronico. Dovremo (dovremmo) farlo con la delicatezza di chi manovra un esplosivo: le parole rimangono, nella loro forma e nei loro effetti (e il credente sa anche che di ogni parola pronunciata – e scritta – gli verrà chiesta ragione). Non si scherza con le parole, che sono la reliquia mentale delle cose e delle persone quando le cose e le persone non sono più presenti davanti a noi, per amarci o per ustionarci (e per farsi amare e per farsi ustionare). Tutto deve essere necessario, in poesia; e dovrebbe essere sempre presente una condizione che è, in fondo, molto cristiana: questa fede ci esorta, da un lato, ad una competenza teologica fine, e dall’altro a credere a ciò che il senso comune e la vita comune non vedono: in primo luogo la transustanziazione dell’ostia e la resurrezione dei morti. Dobbiamo essere teologi e bambini, intellettuali e simili a bambini e agnelli. Così in poesia.

Oggi ho tradotto questa poesia di Emily Dickinson:

1562

Il suo Perdere accusa il nostro avere –

Portò la Sòma vuota della Vita

Eroicamente come

Chi ha l’Oriente intero sulle spalle.

La Sòma vuota è molto più pesante

E chi regge lo sa –

Punire il Miele è vano –

Cresce solo più dolce.

Fare poesia seria, e seriamente, non significa fare una poesia ostentatamente seria. Vuol dire, semplicemente: anche una poesia allegra – e ce ne fossero! (con la stessa luce di Palazzeschi, Gozzano, Lear, Scialoja) – ci obbliga ad una disciplina: una forma di Perdita che fa vergognare e accusa l’Avere. Il Miele crescerà più dolce, nella coerenza con la sua essenza di cosa dolce, ed è vano punirlo – ci si riferisce al mondo, alle tentazioni, alle convenzioni umane, ecc. –: perché resterà quello che è, anzi si esalterà. Troverebbe la «perfetta letizia» di Francesco proprio in ciò che l’uomo detesta: gli insulti di un confratello, la pioggia che lo aggredisce, il fango che gli impedisce i piedi.

Poiché non siamo più animali, troppa leggerezza ci è vietata per sempre. Gli animali sono leggeri, e lo sono puramente, a differenza di noi: uccidono per vivere, inevitabilmente, ma non uccidono «ridendo», come fa Dioniso nella visione di Cesare Pavese. Alla leggerezza si sostituisca lo Sbocciare: non una simulazione ingenua dell’innocenza, ma l’apertura alle possibilità di stabilire il Senso.

massimo sannelli



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